Le emozioni del paziente affetto da demenza
Condivido l’articolo di Pina Laffusa
Fonte: https://www.stateofmind.it
Il paziente con demenza lotta contro l’angoscia di dover perdere qualcosa che a lui è così caro: la propria memoria e i ricordi delle proprie emozioni
di Pina Laffusa
Quali ricordi e quali emozioni possono sperimentare i pazienti affetti da demenza?
Molto spesso quando si parla di patologie psichiatriche, un aspetto che viene dimenticato è quello relativo all’interiorità e al valore di una persona, nascosti dietro una fredda etichetta diagnostica. Si approfondiscono in particolare aspetti riguardanti le ripercussioni fisiche, cognitive e psichiche del paziente, ma raramente ci si interroga su cosa essi realmente provino, su quali siano le loro sensazioni, se anche loro provino felicità nelle cose più semplici, nelle giornate soleggiate, nel ricevere una bella notizia, nel mangiare un buon pasto. Spesso, quando ci si trova in una situazione poco felice della propria vita, la prima cosa che si fa è pensare ai ricordi felici, probabilmente a quelli di infanzia, o per chi li ha vissuti, a eventi come il conseguimento di un titolo, il matrimonio, la nascita del primo figlio.
Se questi pazienti perdono i propri ricordi, a cosa possono aggrapparsi?
La demenza è, sia per il paziente che per chi gli sta vicino, un destino a cui è difficile rassegnarsi poiché caratterizzato da un’inevitabile sofferenza: la perdita del proprio essere, il divenire estranei a se stessi, che rende irriconoscibili davanti ai propri occhi e agli occhi di chi guarda. È necessario correre contro il tempo, che ha per il paziente un valore inestimabile. Il paziente lotta contro l’angoscia, il dolore di dover perdere qualcosa che a lui è così caro: la propria memoria, i ricordi delle proprie emozioni, per non dimenticare le persone che ama, le caratteristiche che rendono l’individuo quello che è stato e quello che è diventato. Ogni memoria, ogni ricordo di un’emozione è un bene prezioso, indispensabile, a cui aggrapparsi e da tenere stretto. L’amnesia, nella demenza, comincia con il dimenticare i ricordi più vicini nel tempo: si tratta di amnesia anterograda, a cui segue quella retrograda che può cancellare il ricordo della propria infanzia, della propria giovinezza; insomma di una vita intera.
L’emozionalità dei pazienti che ne sono affetti è molto interessante. Non è semplice comprendere come questi percepiscano le emozioni, e quale sia la ragione delle loro reazioni emotive.
Le emozioni, secondo numerosi studi, trovano sede nell’emisfero cerebrale destro (sistema limbico), più precisamente nell’amigdala e nel cingolo anteriore. Diverse osservazioni su umani e animali hanno confermato nel complesso dell’amigdala l’attore principale. ‘La vita senza l’amigdala è un’esistenza spogliata di significato personale […] tutte le passioni dipendono da essa‘ (D. Goleman, 1996). Uno dei primi studi sulla relazione tra amigdala ed emozioni è stato condotto da Heinrich Kluver e Paul Bucy, che hanno dimostrato come la rimozione di una parte del lobo temporale contenente l’amigdala provocasse, tra gli altri sintomi, indifferenza affettiva (Antonio R. Damasio, 2000). L’amigdala ha quindi un ruolo cruciale nelle emozioni: ‘se viene resecata dal resto del cervello, il risultato è un’evidente incapacità di valutare il significato emozionale degli eventi, una condizione a volte indicata con l’espressione «cecità affettiva» o «cecità psichica» (L. Mingazzini, 2006). L’amigdala è particolarmente attiva quando si provano emozioni quali rabbia o paura, pertanto riveste un ruolo importante nell’individuazione di situazioni sociali potenzialmente pericolose e, di conseguenza, nell’elaborazione di una risposta appropriata a queste situazioni. Damasio, nel suo libro dal titolo Emozioni e coscienza, descrive il caso della paziente S., che presentava un danno bilaterale dell’amigdala. La donna non mostrava deficit nell’apprendimento e la sua intelligenza rientrava nella media. Era molto socievole e incredibilmente disponibile e cordiale nei confronti degli altri. In seguito a numerose ricerche, si mise in luce come emozioni negative, quali paura o collera, fossero assenti dalla sua vita, lasciando le emozioni positive a dominare. Questo squilibrio affettivo era causato dall’indebolimento della sensazione di paura. La paziente conosceva la paura solo concettualmente, ma a causa del danno bilaterale all’amigdala non aveva mai provato quest’emozione.
È interessante l’analisi di un caso clinico di seguito riportato:
“Una donna di 60 anni, con demenza frontotemporale destra, ha cominciato a manifestare il suo stato di malattia con appiattimento emotivo, scoperto casualmente nel momento della morte di una parente prossima. Tale situazione, che avrebbe dovuto implicare una partecipazione al lutto, ha invece visto la signora distratta e indifferente all’evento, tanto da manifestare il suo disinteresse con l’iniziativa di recarsi a fare compere invece di essere presente al funerale. La paziente ha una discreta amnesia per i fatti trascorsi, escluso uno: la morte della figlia avvenuta venti anni addietro. Durante il colloquio clinico, i richiami ad eventi e ricordi sono scarsi e superficiali, a volte provocano solo risposte di tipo stereotipato, ma se accade di ricordare l’evento della perdita della figlia, ebbene questo è l’unico momento in cui la paziente mostra una partecipazione emotiva commuovendosi fino alle lacrime.” (M.F. Turno, 2004).
Apparentemente le capacità emotive della donna sembrerebbero compromesse, eppure la donna sembrava provare emozioni per un evento fortemente doloroso della sua vita ossia la morte di sua figlia. La donna, quando si parlava di quest’evento, si commuoveva fino alle lacrime. Evidentemente la demenza frontotemporale aveva compromesso i suoi ricordi e le emozioni, eppure quest’episodio era rimasto impresso nelle sue tracce mnesiche a prova del fatto che gli eventi emotivamente rilevanti lascino più segno nella nostra memoria.
La donna che ricorda ancora la morte della figlia, nonostante i suoi ricordi siano azzerati, ci riferisce qualcosa di molto importante, qualcosa di profondamente umano: ciò che abbiamo vissuto, se emotivamente profondo e significativo, non può essere scalfito.
Questo è di fondamentale importanza, i nostri ricordi e con loro le relative emozioni, positive o negative che siano, formano ciò che siamo. In particolare episodi fortemente significativi come la morte di una persona cara sono qualcosa che ci segna nel profondo e che quindi ci costituisce. Perciò conservare le proprie emozioni, significa anche conservare se stessi. È vero che gran parte di quello che siamo, con l’avanzare della patologia scompare, ma è anche vero che tramite la conservazione delle emozioni possiamo ricordare chi siamo, e cosa ha segnato la nostra esistenza. Pertanto, lavorare sulle emozioni del paziente può far guadagnare serenità a quest’ultimo, restituendogli dei brandelli di ciò che lui è ed è stato, conferendogli un po’ di umanità che gli è stata sottratta.
Bibliografia
- Goleman, D. (1995). Intelligenza emotiva: Che cos’è e perché può renderci felici. New York: Bantam Books.
- Damasio, A.R. (2000). Emozione e Coscienza. Milano: Adelphi.
- Mingazzini, L. (2006). La sorgente delle emozioni. Perugia: Morlacchi.
- Turno, M.F. (2007). Una notte senza luna. Manuale di base per l’orientamento degli operatori psicogeriatrici. Milano: La Biblioteca by ASPPI.